Origine neuroevolutiva della schizofrenia: interazione tra fattori ambientali e
componenti genetiche
La schizofrenia è una patologia che intacca molti dei tratti che ci contraddistinguono come
essere umani:
distruzione del pensiero, della percezione, alterazione della postura e della motricità,
delirio, disturbi dell’umore.
Poiché ogni anno vengono diagnosticati 1,5 nuovi casi di schizofrenia ogni 10.000 persone (con
grande peso sulla spesa sanitaria)
e vista la gravità della debilitazione funzionale che causa, è fondamentale capire bene i
meccanismi che sono alla base della
schizofrenia, per diagnosticarla precocemente, ridurre il rischio di cronicità e sviluppare
nuove tecniche terapeutiche.
Il mio lavoro mostra come la schizofrenia sia caratterizzata da una eziopatogenesi
multifattoriale, che
include fattori genetici,
ambientali e mutazioni epigenetiche. In realtà, questi fattori non possono essere completamente
scomposti, ma devono essere trattati
come parte di un sistema: ciò che è veramente rilevante è la loro interazione. Il punto di
partenza è
l’ipotesi neuroevolutiva della
schizofrenia, secondo cui disturbi neurochimici indotti da eventi avversi nelle prime fasi dello
sviluppo possono incidere
negativamente e permanentemente sulle funzioni cerebrali, e possono condurre all’emergere del
disordine
psichiatrico nelle fasi
successive della vita. In particolare, mi riferisco al secondo periodo critico dello sviluppo,
cioè
quello adolescenziale, reso
particolarmente suscettibile allo stress per via dei cambiamenti ormonali e della riduzione
delle
sinapsi. L’adolescenza è il periodo
in cui il cervello sviluppa circuiti per le funzioni esecutive più complesse, ed è anche il
periodo in
cui la schizofrenia si presenta
con maggior frequenza.
In generale, il rischio di sviluppare la schizofrenia è dato dall’interazione di fattori di
rischio
esogeni ed endogeni che,
interagendo con predisposizioni genetiche, causano alterazioni di meccanismi epigenetici. I
fattori di
rischio esogeni sono
stati tra i più studiati in letteratura: includono agenti teratogeni durante la gravidanza, come
il
fumo, l’alcol, radiazioni
e medicinali; malnutrizione durante la gravidanza; infezioni prenatali, considerate il fattore
di
rischio maggiore (40% di
associazione con la schizofrenia), punto di innesco anche di autismo e disturbo bipolare; stress
materno
o del neonato; complicanze
ostretiche, come l’ipossia e ritardo di crescita del feto; età paterna avanzata per via del
maggior
numero di mutazioni de novo; uso
di cannabis in periodo adolescenziale. Tali fattori di rischio richiedono comunque l’interazione
con
predisposizioni genetiche e
vulnerabilità neurobiologiche. Tra i fattori di rischio endogeni troviamo la colonizzazione
microbiotica
del feto: il microbiota
intestinale ha infatti un ruolo anche nello sviluppo e nel funzionamento del sistema nervoso e
immunitario, perciò una sua colonizzazione
anomala è un fattore di rischio.
La parte però che credo sia più interessante e promettente è quella relativa ai meccanismi
epigenetici.
Per epigenetica si intende
qualsiasi attività di regolazione dei geni tramite processi chimici che non comportano
cambiamenti nella
sequenza nucleotica del DNA,
ma possono indurre fenotipi diversi ed ereditabili. Tra i meccanismi epigenetici più studiati
troviamo
la metilazione della citosina e
l’acetilazione degli istoni. Nel contesto dell’insorgenza della schizofrenia, è interessante il
fenomeno
di imprinting genomico:
in pratica, il genoma materno e paterno non sono funzionalmente equivalenti, ma il comportamento
di un
gene dipende dal genitore che
lo trasmette. Ciò è stato dimostrato per almeno un centinaio di geni, importanti specialmente
per lo
sviluppo. Un errato imprinting può
essere causa di disturbi genetici, per via di un’espressione genetica non appropriata. Ora, la
metilazione della citosina è il maggior
responsabile del silenziamento dell’allele che non si esprime, perciò i fattori di rischio che
ho
velocemente elencato in precedenza,
alterando la programmazione epigenetica di alcuni geni, possono indurre deficit di sviluppo del
sistema
nervoso e causare la schizofrenia
tramite espressione non appropriata di geni. Ritengo che un questione sia fondamentale:
l’ereditarietà
delle mutazioni epigenetiche è
stata per ora dimostrata sui ratti ed è oggetto di studio sugli umani; se venisse
confermata,
implicherebbe che fattori ambientali ostili
come lo stress materno durante la gravidanza, interagendo con predisposizioni genetiche e
alterando
alcuni meccanismi epigenetici,
rappresenterebbero un rischio per l’insorgenza della schizofrenia non solo nell’individuo
stesso, ma
anche nelle generazioni successive.
In conclusione, molte dinamiche devono ancora essere approfondite. Sicuramente, i risultati già
ottenuti
possono aiutare nella prevenzione
della schizofrenia, ad esempio con strategie di gestione dello stress per una donna incinta, o
evitando
l’uso di sostanze stupefacenti in
adolescenza nel caso di schizofrenia in famiglia. Inoltre, va approfondita la relazione tra le
alterazioni dei meccanismi epigenetici e
l’insorgenza della schizofrenia: dato che tali alterazioni sono potenzialmente reversibili, tale
studio
si presenta come una promessa
diagnostica e terapeutica per le generazioni future.
Lo studio è disponibile
qui.